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Archive for maggio, 2015

LE STREGHE SON PARTITE

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50291Conoscete Alex De La Iglesia? No, non è quel cantante tardo romantico che andava per la maggiore un trentennio fa e che di nome fa Julio; e non è neanche suo figlio, Enrique, meteora musicale artisticamente scomparsa (almeno credo). No, si tratta di un regista spagnolo, autore di una dozzina di film (alcuni eccezionali come Crimen Perfecto e Perdita Durango), che in un mondo normale dovrebbe richiamare al cinema parecchio pubblico ad ogni nuova uscita. E invece il suo ultimo film, Le streghe son tornate, nel nostro “bel”paese è arrivato (con ritardo di quasi due anni dalla realizzazione…) in pochissime sale e nessuno se ne è accorto. Non sono serviti neanche gli 8 premi Goya attribuiti in patria e le recensioni positive. Non c’è niente da fare, da noi appena si tocca il genere fantastico il pubblico volta lo sguardo altrove (a meno che non siano le fantascemate americane, è chiaro). Peccato, perché si trattava di una vera perla e bastava l’incipit, il più esplosivo dell’anno, per esaltarsi come capita sempre più raramente al cinema. In scena un gruppo di ladri vestiti da “Statue Viventi” (da Spongebob al soldatino verde fino a un Gesù con tanto di croce che nasconde un fucile al suo interno…eresia!) che assalta un Compro Oro. A dar loro una mano anche il figlioletto (altra eresia!) di uno dei malviventi! Il tutto in una messa in scena schizzata, frenetica ed adrenalinica; ed è solo l’inizio perché da lì in poi la follia, se possibile, aumenta e il gruppetto si ritrova intrappolato in un paesino (Zugarammurdi, realmente esistente) abitato da streghe spaventose ma anche terribilmente affascinanti. Impossibile da raccontare, andrebbe solo visto. Un’altra storia pazzesca proveniente dalla Spagna, mentre le nostre commedie continuano a trattare il pubblico come una massa di decerebrati a cui fornire simpatici quadretti con temi ben definiti (l’omosessualità, il lavoro, la religione), soluzioni accomodanti e moralette rassicuranti. Un vero orrore che nulla ha a che vedere con quello presente nel film spagnolo in cui convivono il gusto per lo sberleffo e il politicamente scorretto in un mix che potrebbe far pensare a Sam Raimi e Tim Burton (quello del primo periodo, ovviamente). 

Insomma cercate, quantomeno, di recuperarlo alla prima occasione e nel frattempo non snobbate, anche, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone , altro grande autore, che ha avuto il coraggio di affrontare il genere fantastico portando sullo schermo i testi di Basile e che ha avuto anche la saggezza di girare il film in inglese e chiedere una (buona) mano ai francesi per produrlo. Perché se aspettava l’Italia…

  Ivan Il Terribile


maggio 17th, 2015  



MIA MADRE

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Shots from "Mia Madre"Mia madre
 è un film tanto imperfetto quanto bello. Inizia con un omaggio esplicito a Woody Allen – quella fila fuori del cinema Capranichetta, con Margherita che rivede e interroga se stessa giovane, in coda, sembra venuta fuori da Io e Annie. Il tempo e lo spazio filmico si interrompono e i personaggi, pirandellianamente, parlano tra loro: è un tipico procedimento alleniano, attraverso cui il regista “ferma” il cinema e lo trasporta sul piano dei sogni, delle domande, dei ricordi. Mia madre è un oggetto strano, il più “cinematografico” tra le opere italiane degli ultimi anni: proprio perchè la realtà non è mai obiettiva, è totalmente filtrata attraverso lo sguardo di Margherita da indurci a dubitare se ciò che vediamo sia oggettivo o illusorio, tralucente attraverso le sensazioni della protagonista. Come Margherita stessa afferma con forza, “è il mio film, e questa è la mia realtà”. La morte della madre assume contorni poetici proprio perchè Moretti allestisce la sua realtà: quella del ricordo e dell’amore. Ed il film è come una nave impazzita che solca un mare emozionale: tra la necessaria lucidità che impone il cinema come “mestiere”, e lo smarrimento umano di fronte alla tragedia. Mia madreorchestra i due piani, quello professionale e quello personale di Margherita, con stacchi bruschi: Moretti sceglie un montaggio privo di transizioni per passare dal tono grottesco, felliniano (ed affettuoso) delle scene sul set alla poesia dei momenti privati, straziati dalla perdita. Le due dimensioni si avvicendano lasciando fratture, aperture: è lì, in quegli spazi vuoti, che il film si libra e “continua” in infinite diramazioni nella mente dello spettatore. E Margherita Buy è bravissima ad attraversare gli spazi tra la realtà e l’illusione, tra il desiderio e la brutalità del presente. Il suo silenzio, gli scoramenti, le rabbie, l’amore, sono tutti nella verità del suo volto.

 

Marcella Leonardi

 


maggio 8th, 2015  



PRODUCT PLACEMENT

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la-scelta-462x220-2Tutti quanti dovreste sapere cos’è il product placement; in pratica un modo per finanziare film da parte di aziende private, in cambio, ovviamente, della (bella) presenza di loghi e marchi all’interno del film stesso. Era molto in voga negli anni’70 e si esplicitava con alcuni liquori onnipresenti sui tavolini dei bar e spesso con protagonisti che maneggiavano pacchetti di sigarette posizionandoli in favore di camera, provocando fra l’altro l’ira di un giovanissimo Nanni Moretti che se la prendeva soprattutto con Nino Manfredi per la sua spudoratezza. Dopo un periodo di minore utilizzo, questa forma di pubblicità è tornata molto in voga grazie anche a una legislazione che la rende più conveniente.

Scusate questa lunga introduzione finalizzata semplicemente a raccontarvi che alcuni giorni fa mi sono recato al cinema per andare a vedere La scelta diretto da Michele Placido. Sin dall’inizio un paio di aziende comparivano abbastanza frequentemente, e con una certa invadenza, sullo schermo e dopo circa 15 minuti dovevo assistere a un dialogo fra due personaggi seduti frontalmente; in mezzo alle loro teste campeggiava perfettamente la scritta Natu**i. Per me tutto è finito lì e con tristezza mi sono messo a pensare a quei registi che modificano sceneggiatura, dialoghi, inquadrature e location in funzione degli sponsor; in questa “trappola” ci sono caduti in tanti, compreso Roman Polanski ne La nona porta (il suo peggior film, sarà un caso?) e l’ex commissario Cattani non sarà certo l’ultimo della serie. E così la mia mente è tornata alla storica battaglia del “non si interrompe un’emozione”, quella in cui molti autori (in primis Federico Fellini) chiedevano, circa vent’anni fa, che i film trasmessi in televisione non venissero interrotti dagli spot. Battaglia persa, a suo tempo e ora più che mai, dato che oggi, per l’appunto, i brand finiscono col fagocitare, dall’interno, le opere stesse. Non resta che sperare in un futuro in cui ci sia maggiore tatto e autorevolezza da parte degli autori, ma anche meno pretese da parte delle aziende che rischiano un effetto boomerang. Con questa illusione vi saluto e me ne torno sul mio divano che ovviamente non è, né sarà mai, firmato Natu**i.

 

Ivan Il Terribile

 


maggio 3rd, 2015  



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