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Archive for novembre, 2015

45 anni

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haighLa più bella immagine di 45 Anni, di Andrew Haigh, non ci viene mai mostrata. E’ l’immagine perturbante e fantasmatica di Katya, eternamente giovane e imprigionata nei ghiacci, sul fondo del crepaccio in cui era caduta nel 1962. Kate osserva il marito Geoff, ormai anziano e perduto in una specie di fissità infantile, mentre pronuncia la frase “la mia Katya”. E i 45 anni di matrimonio con lui – anni di serenità quieta, di un quotidiano rassicurante e abitudinario, di cui la coppia conserva ancora le forme educate e gentili – si accartocciano in un dubbio.
E’ significativa la similarità tra i nomi Katya e Kate: una sostituzione metonimica, un’assonanza. E’ così, forse, che una donna è succeduta ad un’altra.
La vita per Kate si colora d’ombra, la stessa ombra che cala sul suo sguardo; ad un tratto appare smarrita nella vastità della sua brughiera, ed avvolta nella nebbia del tormento. Ci voleva un fantasma d’amore perchè Kate si interrogasse sulla sua realtà.
Il tocco stilistico più notevole e riconoscibile del regista Haigh è la sua capacità di trasformare il paesaggio nello specchio dei sentimenti di Kate: il grigiore, la pioggia, i venti parlano del suo disagio, accentuano le pieghe del volto. Una delle inquadrature più belle vede Kate dietro ad una finestra, circondata dagli alberi: quasi si confondesse con le foglie autunnali, tremula e instabile. Una figura umana di cui si perdono i contorni. Ma si tratta di pochi tocchi autoriali di un film che sceglie la sottrazione ed il racconto minimale, appena scandito dai giorni, per poggiare completamente sulle spalle della sua protagonista.
La Kate interpretata dalla Rampling vive di sfumature, di dettagli, di sguardi obliqui: rappresentazioni del crescente disorientamento all’interno del suo mondo. Un mondo che lei stessa ha contribuito a ovattare, smussandone i contorni (è innegabile che Kate tratti il marito in modo fin troppo materno) e su cui adesso aleggia la presenza invincibile della Katya reale/immaginaria, incarnazione di un’alterità abissale.
Qualcuno ha citato, parlando di 45 anni, di Haneke e di Bergman: ma siamo lontanissimi dal rigore, dall’universalità del tragico che si respirano, in forme differenti, in questi due autori. Il film di Haigh è molto più limitato, si accontenta del microcosmo; si tratta di scene da un matrimonio prive di risonanza, circoscritte, che rivelano la prevedibile illusorietà del rapporto tra Geoff e Kate. Un dramma, in definitiva, borghese: un concetto che a Kate fa orrore, e in cui si ritrova, suo malgrado, intrappolata.

Marcella Leonardi


novembre 29th, 2015  



TUTTO PUO’ ACCADERE A BROADWAY

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FUNNYTHATPer i cinefili cresciuti con il cinema classico, She’s funny that way è il film più malinconico degli ultimi anni. Una constatazione che va fatta nonostante l’indubbia forza comica dell’ultima opera firmata Bogdanovich; un film che è una doppia, triplice messa in abisso di memorie cinematografiche, qui allestite e messe in scena in un viaggio al contempo divertente e funebre. Bogdanovich ci riporta a un’epoca ed uno stile cinematografici ormai trascorsi: quello della commedia screwball e sofisticata degli anni ’30 e ’40. Lubitsch certo, ma non solo: anche McCarey e Hawks, Leisen eLaCava, tra gli altri. Dialoghi arguti e irresistibili, una perfetta struttura da vaudeville, allusioni, tempismo che incastra le scene in un susseguirsi di cause/effetto esilaranti. Un genere scomparso, e che aveva raggiunto l’apice in quel Lubitsch che si fa nume tutelare del film non solo attraverso la battuta “degli scoiattoli”, ma in una ricerca della perfezione che sfocia nel bellissimo finale –  una dissolvenza nella luce, perchè il cinema della Hollywood classica era trascendente nella sua assoluta irraggiungibilità. Autori come Lubitsch trasformavano la vita in tutte le sue declinazioni – romanticismo, fallimenti, delusioni, scoperte – in gioielli stilistici, in cui la forma sublimava ogni fallacia umana. Bogdanovich ci prova, e ci restituisce parte della magia, filtrata anche attraverso registi che, come lui, hanno omaggiato le commedie del passato: sin dalle prime scene non si può non notare che Bogdanovich cita Woody Allen che cita le screwball. Strumenti narrativi come i flashback, o il racconto in prima persona sono tipicamente alleniani. Ma Bogdanovich sta semplicemente dichiarando il suo amore al genere, usando ogni mezzo. Gli si può rimproverare di aver esagerato nel colore troppo slapstck della sceneggiatura, che conferisce al film un tono farsesco del tutto assente dalle sophisticated comedies:Lubitsch era infinitamente più allusivo e reticente. Ma di fronte a tanto amore, e a quella fuga nel passato delle ultime inquadrature, ci si può solo commuovere. She’s funny that way racconta di un cinema ed una vita che non esistono più. Meravigliosamente anacronistico, un fantasma dal passato. Una menzione speciale va fatta a Jennifer Aniston: commediante strepitosa, ruba il film con una performance che la eleva al rango di una Miriam Hopkins. Mostruosa, bravissima, perfetta.

Marcella Leonardi


novembre 11th, 2015  



CRIMSON PEAK

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PEAKCrimson Peak, magnifico ritorno al gotico da parte di Guillermo del Toro, ha suscitato numerose (sebbene non prevalenti) voci negative all’interno della critica; un coro riprovevole nei confronti della sceneggiatura “debole” cui è affidato il compito di sorreggere il delirio visivo. Questo atteggiamento ricorda l’ostilità di cui fu oggetto, in passato, il nostro maestro dell’horror gotico: Mario Bava. Un parallelismo significativo, che mette in luce le corrispondenze “d’amorosi sensi” tra il regista messicano e il grande artista italiano.
Sin dalle primissime inquadrature, difatti, Crimson Peak si tinge dei rossi e dei blu de La frusta e il corpo, o mette in scena la brutalità evocativa dei paesaggi baviani immersi nelle nebbie. E come molti film di Bava, Crimson Peak è di una bellezza da togliere il fiato: cinema di vertigine.

La macchina da presa si muove sinuosa e circolare, con l’intenzione di disorientare lo spettatore, avvolgerlo in uno spazio tattile, denso. Del Toro è il cineasta contemporaneo del sogno e del romanticismo, stordisce i nostri sensi col colore, la densità stratificata delle inquadrature, la bellezza malata della morte: le farfalle, la polvere e le ragnatele sembrano uscite dalle opere surrealiste di Max Ernst. Una varietà di suggestioni visive ed artistiche si moltiplica nelle immagini, in cui si respira l’onirismo di Cocteau, la follia di Corman, il sublime della Hammer.
Contrariamente alle direttive dell’horror contemporaneo (found-footage e simultaneità), il regista messicano torna al passato, al dolore dei fantasmi, ai castelli malati di perversione, alle mura che urlano d’angoscia. Un ritorno che si fa cinema puro, di straziante bellezza scenografica: il maniero al centro della storia è tra i protagonisti più vivi mai apparsi in questa stagione cinematografica, dotato di un’anima messa a nudo nel suo pianto, nella sofferenza, nelle deformità della colpa e del ricordo.

Del Toro predilige una scarna emblematicità dei personaggi, tanto più riusciti perchè essenziali nell’incarnare un sentimento, e li pone all’interno del classicismo circolare del suo racconto. Un classicismo che molta critica ha liquidato, appunto, come “povertà di trama”: a distanza di decenni, non muta la miopia accademica di tanti recensori, che si limitano ad assensi stiracchiati di fronte ad una genialità troppo grande e sregolata per i loro occhi.
Per Guillermo del Toro la trama è un respiro abbozzato da cui far fiorire lo stupore e l’audacia visiva: è un cinema che vive di spazio, luce e colore, esaltati sino al parossismo per innalzare l’emozione alla sua massima intensità.
Crimson Peak è un film di visioni e sentimenti, cui si perdona qualche compromesso produttivo (una cgi che toglie fascino), e di cui si ammira la libertà d’approccio ai materiali d’ispirazione, da Poe a Baudelaire, da Henry James a Edith Wharton.
Del Toro, come tanti grandi incompresi (non solo Bava, ma anche Fulci, sino a Carpenter) possiede il segreto delle lacrime e del sangue.

Marcella Leonardi


novembre 3rd, 2015  



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